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Insights
Ott 11 - 2023
Tempo di lettura: 5'

La forza statica della fotografia. Intervista a Giulio Di Sturco

Il vincitore di tre World Press Photo sul suo attuale lavoro: “Non mi importa della fotografia. Mi importa quello che una persona trova oltre le mie foto”.
Leggi l’intervista.

TEMPO DI LETTURA 10′
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Aerotropolis© Giulio Di Sturco

Giulio Di Sturco è uno dei fotografi di reportage più importanti d’Italia. Con i suoi scatti ha raccontato storie da tutto il mondo. Il suo “sguardo” ha spesso la straordinaria capacità di obbligare lo spettatore a fermarsi e domandarsi “Cosa sto guardando?”.

Lo raggiungiamo in video-call. Lui è collegato dal suo studio di Arles, capitale europea della fotografia. L’incontro è digitale, ma di Giulio ci arriva subito la verità, la concretezza. Sarà che è agosto, fa caldo e siamo tutti più rilassati, sarà quel suo accento ciociaro, ma nel giro di pochi secondi ci sentiamo a casa. E non una casa qualunque, ma la casa di un maestro della fotografia internazionale. Così ne approfittiamo, e iniziamo con una domanda che possa portarci dritti dentro la sua vita.

Aerotropolis© Giulio Di Sturco

D. Che cosa abbiamo interrotto con questa chiamata, Giulio?

R. Ti do due risposte, una meno formale e una più formale. La prima è che mia moglie e mia figlia di 4 anni sono andate in vacanza e quindi mi stavo godendo il silenzio e la solitudine (ndr: ride). No, in realtà sto editando un libro su un lavoro che ho finito… Cioè, non so ancora se è davvero finito, ma deve essere messo in ordine. È un progetto sulle città aeroporto (ndr: il progetto è Aerotropolis) che ho iniziato nel 2014. Ora ho stampato tutte le foto e le sto selezionando. Poi arriverà una curatrice di arte contemporanea che mi aiuterà a mettere insieme i pezzi. Sai, sui progetti di lunga durata, uno sguardo esterno è fondamentale. A me sembra sempre che manchi qualcosa, ma non è detto che sia così…

D. Che bella notizia! Ma prima di parlare di futuro, vorrei tornare alle origini. Quando hai capito che saresti diventato un fotografo?

R. Io vengo da quattro generazioni di fotografi. Sono di Roccasecca vicino a Cassino, un paese del basso Lazio, e durante la celebre battaglia di Montecassino il mio bisnonno faceva le foto ai soldati che scappavano dalla guerra. Poi mio nonno e i miei genitori hanno proseguito: loro avevano uno studio di paese che faceva ritratti. Ma all’inizio, come è normale, io escludevo questa ipotesi. Poi sono andato a studiare allo IED a Roma, e lì ho incontrato Angelo Turetta. Lui, che è uno dei fotografi di reportage più importanti d’Italia e un celebre fotografo di scena, ha un’energia, un modo di portarti dentro le storie, dentro il reportage, che mi piaceva parecchio. Lui è stato la luce che ha illuminato tutto.

D. Te lo ricordi il tuo primo lavoro di reportage?

R. Come no! Finita la scuola mi sono trasferito in Canada. A quel tempo andavano di moda i “city portrait”. Io andavo in giro e scattavo, e nel frattempo lavoravo con un fotografo di matrimoni italiani a Toronto. Mi vedevo questi matrimoni assurdi e giravo la città. Però più che “city portrait” io, di fatto, documentavo la mia esperienza… Quando poi sono tornato a casa, ho messo insieme il lavoro e l’ho inaspettatamente venduto ad “Amica”, un magazine che ai tempi faceva molti reportage. E quindi, da là, ho detto: “Figo!”. E ho cominciato a fare avanti e indietro dal Canada e dagli USA: andavo, scattavo, tornavo e vendevo i reportage. E così poi sono entrato nell’agenzia Grazia Neri.

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Ph. Giulio Di Sturco

Per me un progetto fotografico è come un film: devo avere una trama, raccontare una storia.

D. Tu hai sempre raccontato storie con le tue foto. Perché?

R. Sì. È così. Io non ho mai fatto cronaca pura, news. E non sono nemmeno mai riuscito a pensare a una foto singola. A me non interessa la bellezza della foto in sé. Ho sempre voluto mettere insieme delle foto per raccontare qualcosa.

D. Negli anni le tue storie erano via via sempre più “impegnate”. Come fotoreporter hai lavorato per tantissime Ong, per diverse agenzie delle Nazioni Unite e molte associazioni umanitarie. Come è successo?

R. È successo perché a un certo punto della mia vita mi sono trasferito in India. Per me è qui che inizia la mia vera carriera. In quel momento l’India era in completo boom economico. Tutti volevano storie sull’India e io ero un po’ diventato “il fotografo del sud-est Asiatico”. Prima ho cominciato a lavorare con il New York Times e il National Geographic e poi, da lì, sono iniziate le collaborazioni con Medici senza frontiere, Amnesty International, Save the Children e con alcune agenzie delle Nazioni Unite. Ed è stato con alcuni di questi lavori che ho conosciuto Blossom, peraltro… Ai tempi facevo foto in bianco e nero, con taglio molto drammatico.

D. Oggi i tuoi lavori continuano ad avere come oggetto tematiche sociali, ma hai completamente cambiato il tuo modo di fotografare. Perché?

R. A un certo punto, mentre ero in India, mi sembrava di rifare sempre le stesse storie. Avrebbe anche potuto andarmi bene: ormai sapevo quali foto funzionavano e come sostenere il lavoro di tante ONG. Ma temevo di andare un po’ con il pilota automatico, quindi, in quel momento, ho deciso di cercare altre soluzioni per parlare degli stessi temi.

A un certo punto della mia carriera ho deciso di cercare un linguaggio diverso, più metaforico.

D. È così che è nato il tuo progetto Gang Ma?

R. Sì, esatto. In quel momento ero interessato al cambiamento climatico e il Gange mi è servito per ribaltare il mio modo di fare reportage. Mentre prima io stavo in mezzo al Kashmir durante la guerra e tutto (troppo!) succedeva davanti a me, in questo caso mi ero messo sul Gange, dove non succedeva nulla. Lì non mi bastava piazzare la camera e fotografare al meglio tutto quello che di fatto già succedeva, lì dovevo scoprire il modo giusto per raccontare la mia storia, la mia idea.

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Gang Ma© Giulio Di Sturco

D. Ma perché sentivi così forte l’esigenza di trovare una nuova estetica?

R. Perché sentivo che c’era bisogno di nuove immagini per smuovere i pensieri delle persone. Quando si parlava di inquinamento delle acque, per esempio, in quel momento tutte le foto mostravano la bottiglietta di plastica in acqua. E quindi, secondo me, quella cosa lì non funzionava più. Bisognava trovare un modo più delicato, meno esplicito. O meglio, questo era quello che volevo fare. Quindi è nato Gang Ma, dove l’inquinamento è ciò che rende esteticamente belle le foto. Chiunque si può avvicinare a queste foto, attratto dai colori e dalle inquadrature, ma solo in un secondo momento si accorge che proprio la bellezza di colori è dovuta all’inquinamento. È sicuramente una fotografia meno immediata, ma per me più potente. Perché non è finita e lascia spazio di interpretazione prima, e di riflessione poi.

La fotografia non finita non è usa e getta. Richiede più tempo ma per me è più potente.

D. Da come la descrivi, direi una fotografia meno di reportage e più vicina all’arte contemporanea. Sei d’accordo?

R. Non saprei… Forse ora la mia fotografia occupa uno spazio intermedio fra il reportage e la fotografia fine art… Ma queste sono solo definizioni. Io, comunque, vengo dalla fotografia documentaria, dalle “cose vere”. Io devo farti sempre vedere una cosa reale. Però oggi voglio prendere una cosa reale e portarti in un’altra dimensione. Ma questo non vuole dire che non sia comunque una fotografia sociale o politica.

D. È questo che stai perseguendo anche nei tuoi attuali progetti?

R. Sì, per me è ancora così. Il fatto è che non voglio dire più se una cosa è giusta o sbagliata: siamo troppo esposti alle persone che danno dei giudizi senza realmente conoscere, e oggi è impossibile conoscere tutto. Per questo preferisco una fotografia non finita, perché rappresenta una “realtà” magari non conosciuta, magari ancora embrionale, e la porta all’attenzione delle persone.

Ti racconto un episodio: quando faccio delle mostre sulle città-aeroporto (l’ultima, recente a Padova), c’è gente che reagisce in una maniera super forte, gente che dice “Questo è l’inferno in terra!”; e altre che ne sono attratte, affascinate. Perché sono città finte, costruite, ma l’architettura è futuristica, ha una sua bellezza, dà l’idea di una città che funziona. Reazioni opposte alla stessa foto.

D. Come nascono i tuoi attuali progetti? Che cosa accende oggi la tua curiosità?

R. Mah, guardando i miei progetti con un po’ di prospettiva mi accorgo che sto lavorando sul futuro e sulle soluzioni che potrebbero essere normalità fra venti, trenta o cento anni. Le città-aeroporto sono i luoghi dove potremmo vivere un domani: città in cui l’aeroporto è al centro e tutto ruota attorno ad esso; una modifica strutturale che è un cambiamento antropologico. La pediatria di Bristol, in cui sto per girare un documentario video, invece salva bambini prematuri di 22 settimane che vent’anni fa non avevano una chance di sopravvivenza. Poi c’è il progetto sullo spazio e, in stand- by, uno sul trans-humanism, con una serie di fotografie di umanoidi che ho scattato in Cina… Tutto ciò che si spinge al limite del futuro prevedibile, insomma. Ti direi che faccio science fiction, però con foto di cose reali.

Ph. Giulio Di Sturco
Ph. Giulio Di Sturco
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Ph. Giulio Di Sturco

D. Hai uno scatto a cui sei più affezionato?

R. Uno? No, no… Perché la fotografia mi annoia…

D. Posso scriverlo? Guarda Giulio che lo uso come titolo se mi dici così…

R. (ndr: ride) E fu così che smisi di lavorare… No, ma è vero! La fotografia in sé è uno strumento. Mi interessa molto di più il concetto, l’idea, il progetto. E sai che c’è? Ad esempio, con il progetto sullo spazio, ogni volta penso di aver fatto la foto migliore della mia vita. Poi torno, ne scatto altre e quelle mi piacciono ancora di più. Insomma, quando farò la foto perfetta sarà quando andrò in pensione.

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Ph. Giulio Di Sturco

D. E invece che cosa ti piace guardare? Dove trovi le tue ispirazioni?

R. Te ne dico un’altra forte? (ndr: ride) La fotografia non mi interessa. Non la guardo più.

D. Di bene in meglio, direi… Ma in che senso?

R. No, seriamente, guardo pochissima fotografia perché so che mi rimane in testa e poi, anche inconsciamente, finirei per riprodurre delle cose già fatte. E quindi preferisco guardare altrove. Leggo tantissima science-fiction, guardo tante serie tv, molta arte: i surrealisti, i futuristi e De Chirico sono una grande fonte di ispirazione.

D. Per te la fotografia ha un potere?

R. Eh… questa è una delle grandi questioni sulla fotografia. Se me lo avessi chiesto dieci anni fa, ti avrei risposto che la fotografia cambia il mondo, che noi reporter diamo la parola a chi non ce l’ha, ecc… La verità è che non ci credo più. Adesso io non voglio cambiare niente.

D. E allora perché lo fai, se posso permettermi?

R. Perché la fotografia mi dà l’opportunità di entrare in dei posti che sarebbero inaccessibili. Perché mi permette di tirare fuori un’idea e aprire un dialogo con le persone che la guardano. Perché, comunque, la fotografia ha un grande valore, quella che io chiamo “forza statica”, perché la fotografia richiede tempo a chi la guarda e obbliga a riflettere, a farsi domande. Per me, oggi, questo è più forte che dire “guarda, qui c’è la guerra: questi sono i buoni e questi i cattivi”. Io credo che una foto possa dire (o non dire) molto di più di questo.

D. Il tuo sogno futuro?

R. Di continuare a fare quello che faccio, con la libertà con cui lo sto facendo. Perché, devo dì (ndr: dice con forte accento), io sono contento di tutto quello che ho fatto: dei premi, delle persone con cui ho lavorato, dei lavori, dei libri… Io posso solo essere felice perché nella vita sono stato veramente fortunato…

Per fare il fotografo serve avere tanta curiosità, intelligenza e un sacco di fortuna.

D: E tu quando sei stato fortunato?

R: Il primo World Press Photo è stata completamente una botta di culo!

D. Davvero non te l’aspettavi?

R: Assolutamente no. Avevo 25 anni. Ho inviato la candidatura solo perché un’amica ha insistito. Io non lo volevo mandare… E invece ho vinto. E a quei tempi, una vittoria del genere era l’equivalente di un Oscar cinematografico; quindi, ha sicuramente cambiato il corso della mia vita… Sarei un ingrato se dicessi il contrario.

Che si sia trattato di fortuna o no, quel che è certo è che Giulio Di Sturco da quel giorno di premi ne ha vinti molti altri. E nel corso degli anni non ha mai smesso di cercare storie nuove e modi sempre diversi per raccontarci cosa succede nel mondo. Fra chiari e scuri, problemi e innovazioni, il suo è un punto di vista prezioso che risveglia curiosità e conoscenze. Perché comunicare, a volte, significa porre le domande giuste, più che dare risposte.

Entertainment / Insights
Feb 26 - 2025
Tempo di lettura: 2

Cambiare prospettiva ogni giorno

Dal karate alla boxe. Il viaggio di Martina Caruso verso la vetta.

Scopri la sua storia nel nuovo episodio di Transforming Perspectives.

Luglio, 2021. Caldo, finestre spalancate, tv accese.
In onda con un anno di ritardo, le Olimpiadi di Tokyo.
Davanti a una di quelle tv accese c’è Martina Caruso.

Per anni ha calcato i tatami di tutto il mondo come karateka, conquistando podi europei e mondiali, poi, ancora all’apice, ha detto basta. Guarda le Olimpiadi e sente che qualcosa le manca. Competere, ecco cosa. Dopo pochi giorni, infila per la prima volta i guantoni da boxe e quattro mesi dopo sale sul ring per il primo match da professionista, con uno scopo: diventare la pugile più forte di tutti i tempi.

Ce lo racconta nella palestra in cui si allena ogni giorno, in Brianza. Doveva essere una chiacchierata, è finita con una sessione di sparring. Doveva essere il racconto di cambio di prospettiva nello sport e, invece, scopriamo che è solo uno dei tanti che ha affrontato nella sua vita. Scopriamo che Martina è il tipo di persona che nella comfort zone non ci sa proprio stare. Una che non ha paura di affrontare niente e nessuno, tanto meno se stessa. Una che con la sofferenza ci fa i conti da sempre, non solo sul ring. E che le cose irrisolte, tendenzialmente, le risolve. Martina Caruso sa che per arrivare dove vuole arrivare deve essere disposta a cambiare prospettiva ogni giorno.

Entertainment / Insights
Gen 28 - 2025
Tempo di lettura: 1

Una nuova prospettiva, una nuova vita. Viaggio a L’Imprevisto.

Il primo episodio di Transforming Perspectives: la rinascita di Giorgia e il potere di guardare oltre.

A volte, serve scegliere di guardare le cose da un’altra angolazione per scoprire una realtà diversa, una possibilità migliore. È quello che abbiamo vissuto a L’Imprevisto, una comunità di Pesaro che accoglie giovani in difficoltà, offrendo loro un percorso di recupero e rinascita.

Il nostro lavoro è quello di guidare persone, brand e organizzazioni verso nuovi modi di comunicare e di vedere il mondo. Per questo ci siamo spinti fin lì. Per conoscere le loro storie, per ascoltare, ma soprattutto per assistere a cosa significa davvero cambiare prospettiva. Lo abbiamo chiesto a Giorgia – che ha vissuto due anni nella comunità – e alle altre ragazze: che cos’è per loro guardare – e vivere – la vita da un nuovo punto di vista?

Le loro risposte ci hanno mostrato il potere di un cambio di prospettiva: uno sguardo che ridefinisce il presente e apre al futuro. Come in Speed of Plight di Loyle Carner, colonna sonora di questo video, che esplora difficoltà personali, ricerca di equilibrio e il percorso per trovare il proprio posto nel mondo. Transforming Perspectives è proprio questo: riconoscere le sfide, accoglierle come parte del viaggio e scoprire nuove possibilità, con uno sguardo diverso.

Guarda il primo episodio.

Utilities / News
Ott 3 - 2024
Tempo di lettura: 1'

Blossom e Illumia: un bootcamp per innovare insieme con l’AI

Due incontri pratici che hanno trasformato le prospettive e potenziato le competenze dei team

Abbiamo condotto un bootcamp nella sede di Illumia, nostro cliente storico, per un percorso formativo rivolto ai team di marketing, comunicazione, digital, HR e IT. Con due giornate di formazione pratica, abbiamo condiviso strumenti e tecniche che utilizziamo quotidianamente, trasmettendo conoscenze concrete sull’uso dell’AI per la creazione di contenuti, dalla generazione di testi con ChatGPT alla creazione di immagini con MidJourney e l’uso di Perplexity per la ricerca avanzata.

Due giorni a Bologna, quattro team, quattro tool AI.
E una missione: cambiare le mentalità sull’intelligenza artificiale.

Questo bootcamp rappresenta una tappa importante nella nostra partnership con Illumia, che dura da otto anni e si basa sulla fiducia reciproca e sulla volontà di crescere insieme. Con un approccio creativo e strategico, abbiamo supportato il team nel potenziare le proprie competenze, aiutando anche chi era più scettico a esplorare nuove possibilità nell’uso pratico dell’intelligenza artificiale.

Continuiamo a condividere la nostra esperienza nel campo della comunicazione e del marketing, offrendo soluzioni innovative e concrete per trasformare il modo in cui le aziende lavorano.

Innovation / Insights
Ago 21 - 2024
Tempo di lettura: 1'

Tool AI: ecco i preferiti di ogni team

Al servizio della creatività, della strategia e dell’innovazione: ecco gli strumenti che fanno evolvere costantemente il nostro lavoro.

240821 BLS POST BLOSSOM & AI COVER ARTICOLO 16.9

In Blossom, ci piace sperimentare, acquisire nuove conoscenze, essere in costante formazione. Per questo, ogni giorno mettiamo alla prova diversi strumenti AI. Sempre alla ricerca di quelli che possono far evolvere il nostro modo di fare comunicazione. E diventare parte integrante del nostro lavoro creativo, strategico e consulenziale.

Ma quali sono i preferiti di ogni team?

Team Strategia

Perplexity. Perché? Con la sua capacità di raccogliere e analizzare rapidamente grandi quantità di dati, ci permette velocemente di avere una visione chiara e dettagliata del mercato, in combinazione con altri strumenti di ricerca. Un tool che rende la pianificazione strategica più fluida ed efficace, e che ci porta a prendere decisioni più informate e mirate, in tempi ridotti.

Team Copywriting

Uno strumento ideale per organizzare le idee, sviluppare contenuti, fare una prima stesura di testi e rielaborare. Quale? ChatGPT. Dal brainstorming alle traduzioni, dalla revisione alla schematizzazione di documenti complessi. Una pagina sempre aperta sulla nostra scrivania, per un processo di scrittura più agile, creativo e preciso.

Team Media House

Nella produzione video, è Runway (Gen-3) il supporto più prezioso. Le sue avanzate funzionalità e costanti aggiornamenti ci permettono di elevare la qualità e diversificare le nostre produzioni, verso un realismo sempre più sorprendente.

Team Design

Quando si tratta di trasformare concetti in immagini, ci affidiamo soprattutto a Midjourney. Per una vasta gamma di stili artistici, con cui rendiamo ogni creazione unica e distintiva.

Impatto AI

Gli strumenti di AI che adottiamo non solo affinano il nostro approccio creativo e strategico, ma ci permettono anche di tradurre rapidamente idee e dati in soluzioni pratiche e concrete. Grazie a questa integrazione tra innovazione tecnologica, know-how e analisi critica, siamo in grado di rispondere con agilità alle sfide del mercato, trasformando ogni opportunità in un risultato tangibile e di valore.

Utilities
Lug 17 - 2024
Tempo di lettura: 1'

Oltre: il nostro progetto con Matteo Berrettini per Illumia

Un viaggio intimo nell’energia di “The Hammer”, in campo e fuori, durante Wimbledon.

Illumia ha scelto di raccontare una storia diversa. E per farlo, si è rivolta ancora una volta alla consulenza strategica e creativa di Blossom. Con la serie Instagram “Oltre – Storie di energia vera“, abbiamo messo in luce il lato più autentico di Matteo Berrettini, protagonista di un viaggio unico e coinvolgente.

Oltre due milioni di visualizzazioni in una settimana: ogni episodio della serie, girato durante Wimbledon, svela non solo la grinta e la determinazione di Matteo in campo, ma anche i suoi rituali di preparazione e i momenti di ricarica con gli amici.

Questa serie nasce come progetto integrato alla campagna di awareness di Illumia, con l’obiettivo di amplificare i messaggi esistenti e raggiungere un nuovo target. Grazie alla presenza di Matteo Berrettini come testimonial, abbiamo rimarcato i valori del brand e colto l’opportunità mediatica offerta da Wimbledon. “Oltre” si basa quindi su una strategia ben pianificata che combina coerenza nei messaggi, contenuti di grande impatto e tempismo perfetto.

Guarda i video della serie e scopri la vera energia di Matteo Berrettini.

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