Una grande passione per dati e statistiche. Ma sempre con un occhio umano. Perché il dato da solo non spiega tutto nel marketing. E non crea neppure valore.
Qual è il rapporto fra strategia, creatività e marketing? Per capirne di più abbiamo incontrato Alessandro Scartezzini, fondatore e amministratore di Webperformance, agenzia media digitale specializzata in performance marketing e, da gennaio 2023, agenzia partner di Blossom.
Con una laurea in economia, un passato da criminologo, una pubblicazione sul web marketing e oltre vent’anni di esperienza nel digitale, Alessandro è oggi una voce più che autorevole nel campo del performance marketing.

D. Dove nasce la tua passione per i dati?
R. Sono sempre stato un mezzo nerd… Per me, il miglior regalo è stato il Commodor 64 quando ho compiuto 10 anni! Quindi, diciamo che anche quando facevo economia sono sempre stato interessato all’informatica. La mia tesi è stata sulle frodi fiscali su internet. Dopo la laurea ho lavorato in un centro di ricerca internazionale di criminologia, occupandomi di reati informatici e poi sono approdato nel mondo digitale da imprenditore, fondando una delle primissime concessionarie di spazi pubblicitari sul web.
D. E oggi qual è il tuo lavoro?
R. Allora… Ovviamente, mia mamma non l’ha ancora capito! (ndr: ride) Io, in parole non tecniche, dico che aiuto gli imprenditori a migliorare il loro business attraverso gli strumenti online.
D. Qual è oggi per te la sfida più grande?
R. Per me la vera sfida di oggi è rendere il business digitale sostenibile.
D. In che senso? Puoi spiegarci cosa significa Performance Marketing nel 2023?
R. Fino a qualche anno fa era un concetto chiaro: significava portare risultati misurabili, come lead e conversioni, ai clienti. Ma oggi non è più così. Tracciare e attribuire delle azioni a dei singoli canali ora è molto difficile, perché un utente mediamente viene in contatto con il prodotto o con il brand molteplici volte prima di un acquisto o un lead. Noi, per esempio, registriamo che più del 60% degli utenti prima di acquistare dai nostri e-commerce è entrato in contatto con il brand almeno su 5 altri touchpoint.
Oggi ciò che porta il risultato non è l’investimento su Google o su Meta. Il risultato arriva quando l’investimento è un mix ottimizzato sui giusti touchpoint.
D. Quindi possiamo dire che il termine “performance” oggi indica qualcosa di diverso da 10 anni fa?
R. Sicuramente. Oggi si tende a ragionare in termini di performance in modo molto più ampio. E questo è molto interessante, perché ci permette di inserire nel nostro lavoro anche le campagne di brand awareness, che sul breve periodo sono poco misurabili, ma che sul lungo periodo hanno dimostrato di avere un ritorno enorme.
D. Nel tuo percorso c’è molta contaminazione di materie e saperi. Quanto è importante una formazione di questo tipo nel tuo campo?
R. Secondo me la contaminazione è fondamentale. Soprattutto nella complessità del mondo digitale. Pensiamo, per esempio, al diritto della privacy che, negli ultimi anni, è diventato il driver più importante nel modo di fare marketing digitale. Quindi, scienze umane, giurisprudenza, economia, statistica… sono tutte interconnesse e bisogna “masticarle”. Poi non si può sapere tutto, ovviamente. A me, per esempio, manca la sensibilità estetica. E, infatti, il mio art director non perde occasione per ricordarmelo. (ndr: ride).
D. E a proposito di art direction, arriviamo al dunque: qual è il rapporto fra i dati e la creatività? Come si sposano?
R. La verità? Non si sposano, perché si odiano! (ndr: ride). Parlando seriamente, io credo che si debba fare molta differenza fra le campagne di pura performance e le campagne di awareness. Nelle prime il creativo deve adattarsi: se un video di più di 15” in ADV non funziona è necessario arrendersi a questa evidenza. Nelle seconde, invece, la libertà creativa vale moltissimo.
D. Ti è capitato spesso che un dato smentisse una scelta? O comunque ti guidasse a prendere una decisione che non avresti mai pensato?
R. Certamente. I dati sono terribili. Hanno sempre ragione. Noi siamo smentiti di giorno in giorno. E proprio sulla parte creativa, se devo essere sincero…
Dopo ore di accapigliamento sul colore di un bottone, l’A/B test può dare una risposta inaspettata. E, in questi casi, anche l’art director più sicuro si arrende.
Però ecco, ovviamente bisogna saperli leggere, i dati. O, ancora meglio, bisogna prevederli. E questo è possibile solo con l’esperienza, che è un valore enorme in questo campo.
D. Quindi i dati non sbagliano mai?
R. No, non sbagliano. Gli errori ci sono, ma solo quando entrano in campo dei fattori che non permettono una corretta raccolta.
D. Quindi dobbiamo dedurre che il dato vince sempre sulla creatività?
R. Io non la vedo così. Credo invece che possa esserci una grande alleanza, pur nella continua discussione. Nelle campagne di brand awareness, per esempio, i creativi possono trarre grande vantaggio dai numeri: se una creatività è forte, i numeri confermano al cliente la necessità di budget per diffonderla. Gli spazi gratuiti per le creatività non esistono più: sono finiti i tempi in cui se avevi 100K follower, postando la creatività bella, la vedevano in 50K. Oggi se non investi, se va bene, la vedono in 100. Quindi i dati dicono che sulla creatività bisogna investire, sempre.
D. Questa sembra una buona notizia per i creativi…
R. Lo è. Ma non è la sola. La creatività, secondo me, resta la prima leva delle performance.
Saper usare le piattaforme è importante, saper usare il machine learning è utile, ma sono commodities. La creatività è ciò che ti fa vincere rispetto ai competitor.
D. Ovviamente una creatività confermata dai dati, giusto?
R. Certamente. Se i dati la smentiscono, non si discute, va cambiata.
D. Tutti i dati che analizzate per i vostri clienti riescono a darvi una panoramica dei trend?
R. I trend sono fondamentali: noi analizziamo sempre i trend di mercato e dei competitor di ogni cliente. Per esempio, la stagionalità gioca un ruolo di prim’ordine. La conoscenza e la comprensione dei trend è poi importante anche dal punto di vista predittivo: dobbiamo capire dove saremo durante la campagna e durante l’investimento. Per esempio, anche quando facciamo brand awareness misuriamo gli effetti dei nostri investimenti attraverso delle survey in collaborazione con Meta.
D. Quindi, quali saranno le tendenze del 2023?
R. Lo scenario per noi è questo. Non ci sarà una grossa crescita dei costi dei clic e delle acquisizioni, che si stabilizzeranno, e questo è positivo. Dal punto di vista economico, i trend varieranno da settore a settore. Il turismo manterrà una tendenza positiva, pur venendo da un anno davvero eccezionale. Nel food e beverage ci immaginiamo stabilità. Vediamo invece più difficoltà nel settore del fashion, dove il digital ha sofferto del ritorno degli acquisti sul punto vendita. Vediamo poi grandi opportunità per il B2B, dove ci sono anche molti nuovi strumenti per generare lead… Ma staremo a vedere…